Se a fare giustizia non ci pensa lo Stato il rischio è che ognuno se la faccia da solo

(pd) “Lo Stato deve fare giustizia, altrimenti c’è la giustizia della strada” ha detto il padre di Michelle, la ragazza uccisa a Roma a coltellate da un bullo diciassettenne che poi l’ha messa in un sacco per le immondizie per buttarla in un cassonetto.  L’affermazione non si può liquidare come lo sfogo di un uomo prostrato dal dolore. E’ un segnale da non sottovalutare. Potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso dopo decine e decine di assassini, anche efferati, che restano semi-impuniti.
Per tutta una serie di garanzie che la legge prevede per i minorenni, l’assassino, ammessa la colpa, potrebbe tornare subito a casa come se niente fosse. Al massimo potrebbe avere una pena che fra qualche anno gli consentirà di andare in giro liberamente. Ha diciassette anni. Quand’anche si facesse dieci anni di carcere, cosa improbabile, a ventisette sarebbe un uomo libero. Con tutta la vita davanti. E questo sarebbe un insulto alla vittima, alla sua famiglia e al comune senso di giustizia che pure esiste fra la gente e che molte volte è offeso dalle sentenze e dai codici.
Il fatto è che sta venendo meno, non solo la certezza della pena, ma anche la proporzionalità fra le pene. I giuristi possono dire quello che vogliono, aggrappandosi alle migliaia di appigli che offrono i Codici. Ma quello che vede la gente che, non dimentichiamolo, è il ‘popolo sovrano’, è che così non può funzionare. Con una scusa o con l’altra gli assassini escono di galera. Anche quelli condannati  all’ergastolo, che non esiste più perché in contrasto con la funzione rieducativa della pena. Che però non può avere solo questa funzione. Dev’essere anche un deterrente a compiere o a reiterare il reato. E una punizione.
Uccidere è un atto talmente grave, imparagonabile a qualsiasi altro reato, che deve comportare una pena proporzionata.
Aver abbassato sempre di più l’asticella per gli assassini ha comportato che la loro pena effettiva sia invece sovrapponibile a quella di altri reati, il che diventa una palese ingiustizia che la gente percepisce. E allora, come per la sanità se il pubblico non funziona il cittadino ricorre al privato, per la giustizia il ricorso al privato significa farsi giustizia da soli. Quello che il padre della ragazza assassinata ha evocato. 

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