Sergio Cucini: Verona senza sbocchi ostaggio di un consociativismo che soffoca le energie migliori

(di Stefano Tenedini) Il turismo è l’equivalente dell’asso di denari, a saperlo tenere da conto e spenderlo bene. I dati contenuti nella ricerca affidata da Confindustria e Ance al Cresme confermano che si tratta di un asset irrinunciabile, con alcune criticità da tenere sott’occhio e da risolvere, in modo che nei prossimi vent’anni il settore possa fare del suo meglio per reggere il sistema locale sia sul piano economico che occupazionale e sociale. Tutti d’accordo? Non proprio. “Trovo corretto attribuire tanta importanza al turismo, niente da dire. E mi piace lo sforzo dei presidenti Bauli e Trestini, che hanno posto il problema di dare una visione alla città al territorio. È la base dati che mi lascia un po’ perplesso, soprattutto perché porta a letture molto diplomatiche, direi edulcorate rispetto a una realtà che sappiamo ben diversa”.

Sergio Cucini, imprenditore alberghiero con l’Hotel Firenze di Porta Nuova (anzi, “filosofo dell’ospitalità”: così si definisce), ha dedicato molti anni alla categoria sia come presidente dell’Associazione albergatori veronesi, che da referente delle Città d’arte di Federalberghi Veneto e del consorzio di promozione turistica Veronatuttintorno. Appassionato al punto di tralasciare la diplomazia, conosce i processi che regolano (più o meno…) il settore tanto da essere l’interlocutore giusto per valutare il contesto e le prospettive. Ma ripartiamo dai dati. “Una ricerca molto approfondita e ben impostata, ma con delle incongruenze proprio sui numeri, tabelle su cui non trovo corrispondenza, come il Pil del turismo”, dice. “Oppure il posizionamento di Verona, ma anche l’incidenza della produzione di ricchezza rispetto al resto delle province venete. Ecco, diciamo che ho presente altri dati meno ottimistici. Io ci vedo elementi di confronto mirati, che fanno apparire alcuni settori più funzionanti e altri meno. Ed è proprio su “come va bene” il turismo che ci sarebbe da discutere”.

Allora proviamo a ragionare su questo settore trainante. Quali sono per lei le criticità del turismo a Verona e nel suo territorio? Si possono identificare le responsabilità?

Il vero problema si chiama governance. E quindi prima di tutto un modello amministrativo che si incarnava nelle Regioni e dava vita a un sistema organizzativo che una volta operava attraverso le Province con la collaborazione degli enti locali e dei privati. Con la riforma la parte di indirizzo, la promozione e la commercializzazione sono tornate in Regione. Dopo, con l’abolizione delle Province – e la perdita di queste specifiche competenze – il settore è stato suddiviso tra Regione e Comuni, con le politiche di indirizzo affidate al capoluogo. A Verona noi apparteniamo a due sistemi turistici locali, una divisione amministrativa con il Lago di Garda da una parte e capoluogo e resto della provincia dall’altra. A complicare le cose si è ristretto il ruolo della Camera di Commercio, che può intervenire per il Lago ma non su Verona, a causa di uno scontro con la precedente amministrazione comunale.

C’è un sacco di gente che parla senza conoscere il settore, ignorando come si vince e dove le stiamo prendendo, che non ha la più pallida idea di cosa fare nel futuro

Beh, se la macchina è in panne resta ferma chiunque guidi. Qual è il vero ostacolo?

Lo dico con diplomazia: c’è un problema di consapevolezza sui punti di forza e debolezza, oltre che sulle strategie per capire dove andare. Tradotto: c’è un sacco di gente che parla senza conoscere il settore, ignorando come si vince e dove le stiamo prendendo, che non ha la più pallida idea di cosa fare nel futuro. E questo anche prima del Covid, perché poi la pandemia ha piallato tutte le possibilità di ripresa a breve. Torniamo ai nostri due territori, Lago e città, che potrebbero operare in sinergia. Non c’è verso di lavorare insieme, di fare squadra, non ci sono leader o un disegno comune. Quindi chi ha il potere di esercitare più pressione… beh, lo fa. Eppure saremmo una provincia molto importante, con 18 milioni di presenze: ma il 75% di queste presenze va in un territorio solo, che ha un solo prodotto, la vacanza lago+sole. Verona vale di più, anzi è più di questo. Peccato che la massa dei turisti sia a basso valore aggiunto e quindi non emerga nelle classifiche. Perché? Diciamo perché tutto questo valore generato rimane poco visibile e viene ancor meno redistribuito.

La Fiera rischia, non solo per il Covid: si sta inimicando gli espositori del Vinitaly per una data che non piace a tutti e rischia di farsi scippare il gioiello della corona

Parliamo del capoluogo, allora. Cosa deve succedere perché Verona riprenda quota?

Rispetto ai 18 milioni di presenze turistiche della provincia, Verona città ne vale un quarto, 4,5. Eppure questo fatturato non si vede e non ritorna al territorio in termini di reddito, se non privato, o di promozione. È vero che non c’è un indicatore che lo definisca bene, ma io credo che il turismo partecipi alla formazione del Pil ben oltre la media nazionale del 14%. Eppure a Verona questo calcolo è oggettivamente difficile, quasi impossibile per le opacità cui mi riferivo, e mi fermo qui. Era stato calcolato un ritorno di un miliardo e mezzo l’anno solo per la stagione areniana e il calendario della Fiera, senza contare tutto il resto. Ma se il fatturato non emerge, non crea né interesse né strategie. E poi chi dovrebbe creare una visione del futuro non è che si dia tanto da fare… Posso essere più diretto?

Lasciare il Catullo a Save è stata una scelta grave e ingiustificata: ma ogni altra strategia era stata scartata.

Ma per carità, si accomodi.

Il turismo vive lo stesso disagio e le sofferenze degli enti partecipati: messi male chi più chi meno. Situazioni che richiederebbero ai soci di fare gli investimenti necessari. Eppure tutti parlano ma nessuno si prende l’impegno di farlo, neanche chi forse qualche responsabilità della deriva ce l’ha. Ad esempio inviterei il Comune, che è spesso il socio di maggioranza, a fare una seria riflessione su come vengono gestiti gli enti che controlla. Un piccolo elenco delle situazioni critiche. La Fiera rischia, non solo per il 2020 del Covid ma anche perché a forza di inimicarsi gli espositori del Vinitaly per la data che non piace a tutti rischia di farsi scippare il gioiello della corona. La Fondazione Arena zoppica, l’Autostrada è ormai finita altrove, l’Agsm che è stata usata per troppi anni da bancomat del Comune deve ripartire dal mercato. E dell’Aeroporto, che incide tantissimo sul flusso turistico, vogliamo parlare? Ha una situazione drammatica, il socio privato fa quello che vuole, si porta le compagnie a Venezia e Treviso e gli operatori non hanno più vettori incoming. Lasciare il Catullo a Save è stata una scelta grave e ingiustificata: ma ogni altra strategia era stata scartata.

Non vorrei dover difendere il pubblico, ma anche le imprese potrebbero farsi avanti.

E perché dovrebbero farlo? È vero che il privato a Verona non tira fuori i soldi, ma è anche perché il pubblico comunque non molla l’osso. Lo sa che il Comune di Verona è al secondo posto in Italia – solo dopo Roma! – per presenza del socio pubblico nelle partecipate e negli enti economici? E tutto questo succede grazie all’alleanza della politica con una parte degli imprenditori e dei sindacati, che accettano le regole del gioco. Un consociativismo 2.0.

Una lettura molto negativa del sistema Verona riconosciuto e acclamato da molti. Ma una luce in fondo al tunnel non ce la vogliamo proprio vedere?

Faccio fatica, perché il modello che un tempo funzionava ora mostra la corda. E anche per questo dico di essere rimasto un po’ deluso dal rapporto sulla Verona 2040, pur avendone apprezzato la finalità: ci leggo toni troppo concilianti con una situazione che senza un serio rinnovamento farà perdere tutta Verona. Ma non posso guardare positivamente al futuro senza prima vedere persone nuove che sappiano voltare le spalle a questo modo di fare, e che si impegnino davvero per dare una visione alla città e al territorio. Vogliamo credere che Verona sia il posto ideale per vivere, ma in realtà da fuori ci associano solo all’Arena, a Giulietta e poco più. Eppure di cose da fare ce ne sarebbero. Solo come esempio pensiamo a cosa sarebbe mettere in sicurezza il territorio: ma in ottica di sviluppo, non da talebani.

Niente parole di speranza, vabbè. Almeno un’idea di come se ne potrebbe venir fuori?

Mah, per eliminare il consociativismo di cui parlavo prima bisogna che il pubblico si faccia da parte, per estirpare il consenso acquistato tramite la gestione delle partecipate. Poi una gestione sana e via con le privatizzazioni. Se Verona rimane al palo è perché è ostaggio del sistema di governo misto tra una politica che spadroneggia e i privati che la lasciano fare. Perché così facendo tra l’altro si lascia campo aperto a una burocrazia che detta le regole, si “auto-conserva” e non lavora per fare le cose che servono ai cittadini e all’economia.

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