Piazza Erbe va liberata dai banchetti. Bene le multe, ma non bastano.

Nei giorni scorsi la Polizia Municipale ha multato diversi banchetti di Piazza Erbe per irregolarità nell’occupazione del suolo pubblico. Ha fatto bene. Non entriamo nei dettagli delle violazioni compiute dai banchettari. Chiamarli “piassarotti” sarebbe improprio. Soprattutto offensivo per i “piassaroti” quelli veri, quelli della tradizione, quelli che vendevano “le erbe”, ma anche la frutta, le “siele-bele”, le caldarroste, i bomboloni, “i useleti”, quelli vivi e anche quelli “da magnar”, i coltelli e anche li arrotavano e tutte quelle merci della tradizione. I “piassaroti” non ci sono più, o meglio, non stanno più li in “piassa”. Sono diventati “siori”, si godono la vita. Così hanno affidato la loro attività a dipendenti, quasi tutti stranieri: magrebini, indiani, cinesi, ecc. Provate a fare un giro: sembra di essere all’estero.

Forse perché magari non conoscono bene la nostra lingua, usi, costumi, leggi, regole e regolamenti, fanno un po’ quel cazzo che vogliono. E il Comune ha fatto benissimo a sanzionarli. Ma il problema sta a monte. Questi stranieri, che solo a guardarli in faccia con la nostra tradizione non c’entrano niente, vendono merci che rappresentano un insulto al buongusto e alla qualità che uno si aspetterebbe in un contesto di così alto valore artistico, monumentale e simbolico com’è piazza Erbe. Lo abbiamo già detto. E lo ripetiamo.

Il problema va risolto alla radice. I banchetti devono essere eliminati una volta per tutte. Bisogna fare piazza pulita. Anche nel senso che la piazza va vista e gustata “pulita” dall’ingombro degli orribili sarcofagi, quando sono chiusi, e dalla vista della paccottiglia che vi viene esposta quando sono aperti. A meno che non siano disposti a darsi una regolata e tornare nell’alveo della tradizione ricominciando a vendere frutta e verdura, come una volta. E la sera a cingere i banchetti con i teli di iuta, come una volta. Potrebbe essere un’alternativa all’eliminazione. Ma forse, al giorno d’oggi, non è più sostenibile economicamente. 

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