Il Concerto di Natale de I Virtuosi Italiani a San Pietro in Monastero è stato un successo

(di Gianni Schicchi) Pieno successo del Concerto di Natale promosso da I Virtuosi Italiani nello spazio dell’ex chiesa di San Pietro in Monastero (concessa come sempre da Cariverona in via Garibaldi), andata esaurita di pubblico plaudente e partecipativo. 

Un concerto dal denso programma (fin troppo) che ha toccato alcuni vertici indiscussi del barocco, dove la parte del leone l’ha fatta la musica di Antonio Vivaldi. In primis con la Sonata La Follia in re minore, pezzo che mette sempre alla prova l’acrobazia e il virtuosismo più acceso di un violinista e dove il concertatore de I Virtuosi Italiani, Alberto Martini, si è esibito (forse per la prima volta) in duo con la consorte Elisabetta Fable. Un pezzo (ripetuto parzialmente come bis al termine del concerto) che ha riscosso, giustamente, molti apprezzamenti dal pubblico.  

virtuosi

Con Vivaldi e i suoi Concerti “Il Favorito” e quello in la minore RV 522 da L’Estro armonico, hanno poi trovato spazio anche il celebre Concerto “Fatto per la notte di Natale” di Corelli e “Per il Santissimo Natale” di Torelli, con la Sinfonia in sol minore di Tommaso Albinoni.  Il tutto ha confermato quanto ormai si conosce da tempo de I Virtuosi Italiani: una formazione agguerrita e coesa, con un suo pubblico affezionato e acquisito che la segue ad ogni evento importante.

I capolavori presentati hanno potuto contare su un approccio particolarmente rigoroso dal punto di vista stilistico, sempre limpido e luminoso nella timbrica, assai incisivo e travolgente nella resa dei movimenti più veloci, dando vita ad un ascolto coinvolgente e spesso sorprendente per la ricchezza e la sottigliezza delle soluzioni mostrate. 

Merita comunque una menzione particolare la resa dei meravigliosi tempi lenti, veri e propri soliloqui delineati (e pretesi) da Alberto Martini con una intima, personale partecipazione ed una cura del suono di inedito spessore, per la varietà delle sfumature dinamiche e per la personale adesione del solista anche alle componenti più meditative, come quelle dello strabiliante e commovente Canone in re maggiore di Pachelbel.

Tali esiti sono stati resi ancor più efficaci grazie all’apporto altrettanto sensibile e puntuale della compagine orchestrale, sempre in sintonia con il concertatore nell’esplorare i più riposti, sottili risvolti della scrittura, specie quella vivaldiana, ottenendo in tal modo una resa globale nel segno della pura bellezza, tanto più significativa e confortante in un’epoca come la nostra, dominata da conflitti spesso brutali, in parallelo col vuoto delle chiacchere giornalistiche e con una certa volgarità del mondo dello spettacolo.

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