Il lavoro che non c’è non mette in crisi solo le imprese. Il Gender gap è un freno all’indipendenza femminile

(di Stefano Tenedini) Lavoro, un incubo per le imprese. La scorsa settimana, nel tracciare il bilancio del 2023 e anticipando le ipotesi 2024, il presidente di Confimi Apindustria Verona Claudio Cioetto è stato esplicito. Ha detto che i valori delle PMI del Veneto reggono e si possono recuperare le posizioni perse per l’aumento dei tassi, i minori investimenti, le guerre e la frenata della Germania. Comunque non ce la faranno se non potranno contare sul personale qualificato necessario a sviluppare le attività.

La manodopera specializzata resta il problema principale dell’economia e delle famiglie. O meglio, lo squilibrio da eliminare tra domanda e offerta, tra le richieste dei settori più attivi e la disponibilità di personale adeguatamente formato all’uscita dal ciclo di studi. Non esiste una cosa come il “troppo lavoro”, ma se anche nel recente passato c’erano più disoccupati da assorbire che posti per accoglierli, oggi per assurdo il Veneto è una delle regioni in cui sempre più aziende rischiano di chiudere perché non trovano chi assumere.

Senza donne e giovani manodopera impoverita: rischi per economia e società

A volte il disallineamento è tra le competenze richieste e proposte, oppure il divario tra i livelli retributivi e quanto un’azienda voglia spendere. Ma questo accade forse meno che in passato, perché gli imprenditori sanno benissimo che oggi i talenti che fanno la differenza vanno retribuiti in modo competitivo. Che sia colpa di scuole non abbastanza aggiornate, o di quella politica da sempre in ritardo cui Cioetto ha rivolto un appello e ha suonato la sveglia (qui la nostra cronaca su L’Adige di Verona), il problema persiste e a volte peggiora, come dimostrano diverse indagini tra cui questa di Veneto Economia (a questo link).

Riprendiamo così il tema focalizzandoci sul lavoro giovanile e su quello femminile, che danneggiano il Paese sul piano economico-imprenditoriale e anche sociale. Non andrebbe neanche spiegato il perché: basterebbe ascoltare che cosa fanno i Paesi europei grandi e piccoli intorno a noi. Invece siamo qui a parlarne da capo. Non va affatto bene. Ma torniamo a sottolineare l’importanza del problema grazie alla disponibilità di Marisa Smaila, presidente del Gruppo Donne di Confimi Apindustria Verona, e di Carlo Grossule, presidente del Gruppo Giovani Apindustria.

Marisa Smaila, presidente di APIDonne di Confimi  Apindustria, amministratrice di Tekno Mecc di Villafranca
Marisa Smaila, presidente di APIDonne di Confimi Apindustria
Carlo Grossule, presidente dei Giovani di Confimi Apindustria
Carlo Grossule, presidente dei Giovani di Confimi Apindustria

In conferenza stampa Marisa Smaila aveva auspicato “misure strutturali e stabili orientate a favorire l’occupazione femminile. A partire da un dato che si commenta da solo: nella UE l’Italia si colloca all’ultimo posto per tasso di occupazione delle donne tra 25 e 49 anni, in coppia con figli a carico”. Oggi prosegue ricordando che nel consiglio del Gruppo Donne di Apindustria ci sono 14 imprenditrici: e ciascuna segue uno degli aspetti dell’azienda al femminile. Il problema più serio, inutile dirlo, è il gender gap.

“E’ l’aspetto che li racchiude tutti, perché indica il divario tra uomini e donne in tanti ambiti diversi ma che impattano profondamente sulla vita delle donne: la salute, il lavoro, l’educazione, l’accesso alle attività economiche, la disparità di retribuzione”, ci spiega Smaila. “E rende evidente la necessità di raggiungere l’indipendenza attraverso il lavoro. Nel futuro infatti le donne saranno le nuove povere, potrebbero non avere la possibilità di mantenersi: e questo oltre a un dramma personale diventerà un carico sociale per il Paese”.

Smaila: “Una trasformazione sociale per responsabilizzare gli uomini e le donne”

“È un problema che sentiamo con forza: non solo sul piano economico, ma perché richiede un cambio nella cultura della famiglia e della società, che delegano alle sole donne il lavoro di cura e di assistenza. E’ una trasformazione da spingere attraverso incontri e dibattiti aperti, che riguarda le donne e i giovani: tutti devono essere consapevoli del futuro che li aspetta e delle scelte che andranno fatte con la massima responsabilità. Lo sforzo sarà enorme, ma solo con questa coscienza potremo dire di essere liberi, sia uomini che donne”.

“Crediamo che formarsi, informarsi e aggiornare di continuo le proprie conoscenze aiuti il cambiamento e l’evoluzione della società. Non diamo giudizi e non abbiamo pregiudizi sulla dipendenza economica o familiare: il nostro obbiettivo”, ci conferma Marisa Smaila, “è che ognuno possa chiedersi se ha scelto la propria vita senza condizionamenti esterni, ma anche con la consapevolezza che solo se economicamente indipendenti possiamo scegliere chi essere davvero e che cosa fare. Scegliere significa essere responsabili delle proprie azioni”.

La manodopera è un problema per le imprese che non trovano dipendenti ma anche per le donne in cerca di indipendenza economica. Qui una rappresentanza del direttivo di APIDonne, il gruppo femminile di Apindustria Verona.
Una nutrita rappresentanza di APIDonne. Il gruppo femminile di Confimi Apindustria conta 14 imprenditrici nel direttivo

Questo potrebbe essere, sottolinea l’imprenditrice di Villafranca, l’inizio di un concreto cambiamento di una società che appare sempre più individualista. Allo Stato tocca stimolare un cambio di rotta. “Secondo noi dovrebbe garantire più servizi, dare la possibilità a chi lavora di avere luoghi protetti e disponibili dove lasciare le persone non autosufficienti, dando la possibilità di lavorare e formarsi. Non servizi gratuiti, chi ha la possibilità di pagare o partecipare anche in parte dovrebbe farlo. Ma con luoghi simili, donne e uomini in età lavorativa potranno contribuire col loro lavoro a una maggiore entrata economica per se stessi e per lo Stato. E forse”, conclude Marisa Smaila dando voce alla speranza, “potremo ridurre almeno in parte situazioni familiari critiche a danno dei più deboli”.

Grossule: “La scuola proponga corsi adatti alle esigenze del lavoro. E dei giovani”

Più tecniche e orientate all’istruzione scolastica, ma altrettanto rilevanti cone stimolo al cambiamento, le indicazioni di Carlo Grossule, presidente del Gruppo Giovani Apindustria Verona. “La nostra associazione è impegnata sul fronte della formazione. Per aiutare a rendere meno critica la mancanza di manodopera”, dice, “occorre un dialogo costante tra gli imprenditori e il mondo della scuola. Solo così l’istruzione può stare un passo avanti nel proporre corsi di studio in linea con le richieste delle aziende e del mondo del lavoro. A questo proposito servono modelli più agili ed efficaci per incrociare domanda e offerta”.

Inoltre si avverte ancora timore per la rapida introduzione dell’intelligenza artificiale, ma, sottolinea Grossule, “le innovazioni non potranno sostituire la manualità. I macchinari andranno sempre accesi e gestiti, con il personale che andrà progressivamente formato per supportare il cambiamento tecnologico. Un altro tema non rimandabile riguarda poi la fuga di molti giovani verso altri Paesi in cerca di migliori opportunità per imparare, crescere e fare carriera, ma anche per una retribuzione più in linea con le loro aspettative. Anche su questo ci aspettiamo che la politica possa intervenire presto e in modo efficace”.

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