Requiem di Mozart al Teatro Ristori, recensione

(Di Gianni Schicchi) Il Requiem di Mozart è tornato a farsi ascoltare quale impegno e riflessione sulla prossima Pasqua, proposto al Teatro Ristori da I Virtuosi Italiani diretti da Piercarlo Orizio, con l’ausilio dell’Ensemble Vocale Continuum trentino guidato da Luigi Azzolini. Opera altissima ed emozionante, che ancora oggi ci scuote e interroga; ci lascia sognanti pensando all’uomo Mozart che compone qualcosa di inconcepibile per un cuore umano. Eppure il Requiem non può essere frutto di ispirazione divina, non è un’opera serena: è l’ultimo messaggio di un uomo che ha paura davanti alla morte. Sì, la morte è un portale oscuro che si apre davanti a noi spettatori: ci sono promesse di punizioni, giudizi e richieste di perdono.

La composizione è complessa (sappiamo che Mozart non riuscì a finirla e che ci mise poi mano l’allievo Süssmayr), per solisti, coro e orchestra. Soprani, contralti, tenori e bassi, decine di cantanti si amalgamano in un insieme imponente. Requiem, da “Requiem aeternam dona eis Domine”: una preghiera di pace, che qui invece è animata da un’armonia di strumenti e voci, in tumulto. Anche il “Dies irae” nasce da una preghiera, un testo che parla di giudizio severo, di pena, della fine del tempo, di paura. Nella solida esecuzione compiuta da I Virtuosi Italiani e dall’Ensemble Vocale Continuum ti sembra di vederli questi giudici che si ergono dal buio e ti guardano dall’alto. I toni carichi, cupi, non sottolineano la prospettiva di pace, ma piuttosto di un giudizio, severo e pesantissimo, che accompagnano l’autore malato.

Non possiamo escludere che soffermandosi su questo enorme tema, Mozart iniziasse ad aver paura e ce lo immaginiamo così mentre compone il Kyrie Eleison, con questo alternarsi di voci che lo rende universale, profondissimo: più un pianto che una richiesta. Scriveva mentre le forze lo abbandonavano, sollecitato dalla figura interrogativa e misteriosa di un committente, dalle tante spese da pagare, dalle composizioni ancora in lista di attesa.

Il Lacrimosa, nel Larghetto in re con la sezione finale della Sequenza, sono le ultime note complete di mano dell’autore. La leggenda (quante ce ne sono) vuole che scrivendola lui scoppiasse in pianto. La verità è che scrisse solo le prime otto battute, ma l’effetto cercato lo si può già sentire dall’introduzione dei violini. Oggi è considerata un banco di prova per i direttori d’orchestra perché composta da crome ascendenti e discendenti, da voci che continuano ferme a chiedere pietà, che il giudizio sia clemente con loro.

Mentre componeva Mozart pensava alla morte ogni giorno, costretto a letto dalla febbre che lo consumava come l’opera che stava scrivendo. Chi può dire se poi si è redento, se l’animo con cui scriveva riflettesse quello di chi vorrebbe essere perdonato. Che storia straordinaria la sua, di un musicista che si riscopre sempre più umano e mortale mentre è alle prese con l’ultima sublime fatica, proprio sulla morte, che corre consapevolmente verso la conclusione della vita: un’immagine che ci affascina ancora ci ispira. Ma questo monumento del Requiem oggi può diventare per noi esempio e non solo fonte di ombra. Come Mozart tremiamo di fronte a questo abisso dove non riusciamo a guardare: come lui, allo stesso tempo, ci meravigliamo e desideriamo sapere.

Il Requiem di Mozart non è un compito fatto per riscattare il premio pattuito; non è scritto secondo le regole, non può mimetizzarsi, ma invece vuole essere ricordato, vuole colpirti allo stomaco e lasciarti attonito ad ascoltarlo, vuole spaventarti e affascinarti assieme. È un monumento altissimo, che resta come monito a ricordandoci che la morte non è una tragedia che succede agli altri, ma che dobbiamo farci i conti ogni giorno e ogni giorno sentirci chiamati alla responsabilità di essere vivi.

Il direttore Piercarlo Orizio, per la prima volta alle prese con la partitura, ne ha proposto una concertazione articolata e mobile, sorprendente nella varietà dei tempi, nelle sonorità e dinamiche, abbastanza fantasiosa nelle variazioni, teatralmente viva e pulsante. Attorno a lui, il cast dei solisti, non è stato altrettanto convincente. Professionalmente ineccepibile per il mezzosoprano Daniela Pini ed il basso Gianfranco Montresor, spesso inespressiva e difficoltosa per il soprano Giulia Semplicini e il tenore Blagoj Nakoski.

L’esecuzione è stata dedicata alla scomparsa improvvisa di Piero Rattalino, notissimo musicologo, critico e amico de I Virtuosi Italiani, La serata era iniziata con due brevi pagine, il Libera me, Domine di Haydn e il mottetto Ave Verum corpus di Mozart, concesso come bis il Dies irae del Requiem. Teatro stracolmo di pubblico che ha lungamente applaudito tutti gli interpreti. 

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