Dopo la prostatectomia radicale solo un paziente su dieci ha accesso alla protesi peniena

Una delle conseguenze più sgradite dell’intervento per il tumore della prostata è la perdita dell’erezione del pene. Oggi, alla luce dell’esperienza clinica degli ultimi decenni il ricorso alla chirurgia è meno frequente e, quando è necessario, grazie ai progressi tecnologici, sono possibili interventi conservativi e mini-invasivi che consentono una normale attività sessuale. Tuttavia ogni anno in Italia per  circa ventimila casi avanzati di tumore è ancora necessaria la prostatectomia radicale e almeno la metà ha come conseguenza la disfunzione erettile.
Cinquant’anni fa dei chirurghi americani avevano messo a punto una protesi sostitutiva del sistema idraulici per l’erezione. Oggi l’intervento si è perfezionato. Le prime protesi funzionavano con una pompetta. Oggi invece sono touchless, sempre più sofisticate e permettono una funzione ottimale.
Tuttavia solo un 10 % dei pazienti riesce a farsi installare una protesi peniena nell’ambito del Ssn. Gli altri devono posizionarla privatamente.
Seconda la Società Italiana di Andrologia questo tipo di protesi deve essere inserito nei Lea perché esclusa dal nuovo decreto tariffe e le Regioni non sono tenute ad erogarle. Le protesi peniene “non sono un vezzo o un lusso ma un diritto per continuare una normale e degna vita di coppia quando le terapie mediche falliscono – dichiara Alessandro Palmieri, presidente Sia -. Tuttavia, contrariamente a quanto ormai consolidato per le donne, per cui da tempo è prevista la rimborsabilità delle protesi mammarie, a seguito di una mastectomia, gli uomini non ricevono lo stesso trattamento dopo una chirurgia pelvica radicale”.  

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail